PROLOGO: Sede della Justice
Incorporated, Nome, Alaska
“Situazione?” chiese Angela Cleaver attraversando la porta.
L’infermeria era un vespaio di attività, tutta concentrata sulle otto figure che
giacevano all’interno di una camera di terapia intensiva, protetta da pareti
stagne di vetro blindato. Faceva uno strano effetto, vedere
Ø
Parnell Jacobs, Warwear, nella sua armatura vivente a tecnologia Eidolon,
Ø
Jack Russell, Sabre, il licantropo,
Ø
M’Nai, Midnight Sun, il silente ex allievo dell’Fu Manchu,
Ø
Mark Raxton, Molten, l’uomo dalla pelle metallica,
Ø
Janice Olivia Janizesky, Joystick,
Ø
Robert Markley, Fusione, mutante signore delle illusioni
Ø Malcolm Murphy, Man-Eater, l’uomo-tigre
Ø
Capitan Power,
il misterioso e più potente super-essere del gruppo,
ridotti all’impotenza, monitorati da una fitta rete di
sensori, immersi in un coma profondo.
“Stabile,”
rispose il capo dello staff medico. “Il che, date le circostanze, può essere
considerato un buon segno.”
Senza smettere di osservare lo
spettacolo al di là della vetrata, Angela, le mani
incrociate dietro la schiena, disse, “E tu cosa sai dirmi di nuovo, Garolfo?”
Garolfo Riccardo degli Abruzzi,
che nel CdA aveva il ruolo di direttore della sezione di
Riverse-Engineering, sollevò lo sguardo dal suo portatile…e scosse mestamente
la testa. “Niente. Devo ammirare il progettista delle protezioni. Ogni volta
che mi avvicino alla soluzione, un virus frattale mi riporta al punto di prima.” Sospirò. “L’unica consolazione è che almeno ho imboccato
la strada giusta…però…”
“Però
cosa?”
“La protezione è terribilmente
sofisticata. Troppo, direi. Fa sembrare l’applicazione
di questo Dreamscaper…primitiva, a
confronto. Stiamo parlando di due linguaggi completamente diversi,
incompatibili. È come se avessero costruito una casa intorno ad un’altra,
usando un’architettura completamente diversa. Uno sforzo
davvero notevole per un dispositivo neurale per la realtà virtuale. E di
questa seconda casa, non ho fatto che esplorare poche stanze.”
Si rimise al lavoro, digitando freneticamente sulla tastiera. “Ho come
l’impressione che non mi piacerà molto quello che salterà fuori, alla fine.”
Angela stava per dire
qualcosa, quando un ronzio dalla sua cuffia deviò la sua attenzione.
“Scusami, Angela,” disse la voce di Dollar Bill, “Ma quel tipo che mi avevi
chiesto di cercarti per l’assunzione è qui.”
“Capisco. Arrivo.” Chiusa la comunicazione,
disse a Garolfo, “So che non mi deluderai.”
MARVELIT presenta
JUSTICE INCORPORATED
Episodio 19
- Chi è il Vincitore?
All’interno di uno scenario
virtuale, gli otto Giustizieri avevano appena scoperto che le cose potevano
davvero andare peggio di quanto si potesse pensare.
Credevano di essere
semplicemente intrappolati in una simulazione molto complessa…e avevano appena
scoperto di essere nelle fredde mani della più letale macchina di morte mai concepita.
“Non so come siate riusciti ad
entrare nel mio mondo, piccoli umani,
“Disse il robot dal corpo dai riflessi argentei, e una testa caratterizzata da
una ghignante bocca spalancata, nella quale ardeva il fuoco nucleare del suo
motore, “ma state sicuri che Ultron non vi permetterà di uscirne!”
“Sorridi quando lo dici, fantasma elettronico!” esclamò Warwear,
puntandogli addosso le mani, per poi lanciargli contro
una raffica di repulsori -o qualunque impulso fosse interpretato come tale in
quel ‘mondo’ alla Matrix. Ad ogni modo, il colpo andò a segno…
…e
non ebbe alcun effetto.
Ultron, che reggeva Warwear
per il collo, serrò la stretta, facendo scricchiolare il metallo. “Divertente
quanto inutile, carnoso. Non sono una proiezione; qua dentro, sono il signore e
padrone!” E, velocissimo, scagliò senza sforzo la sua vittima contro il
pavimento, la tirò su e ne affondò il corpo contro il
muro.
Molten e Joystick reagirono per primi, la seconda generando in ogni mano un
bastone acuminato di energia solida. Mark Raxton colpì con il suo pugno
migliore, generando un potente clangore metallico, e la donna non lesinò le
forze amplificate dal suo esoscheletro nel cercare di perforare il cranio del
robot assassino.
Quello non se ne accorse neppure. Si limitò a scuotere un braccio e li
sbatté via come pupazzi.
Invano Warwear cercava di
vincere quella presa. Fra poco, continuando così, si sarebbe ritrovato
decapitato. “Tu…sei stato distrutto…” Fallo
parlare, fallo parlare!
“Una condizione solo
temporanea, ve lo posso assicurare. Grazie all’Imperativo Ultron sparso in tutto il cyberspazio, posso risorgere a
piacimento, nel momento in cui voi carnosi meno ve lo aspettate…”
E parlando, purtroppo, non aveva perso niente della propria forza…eppure,
improvvisamente, Ultron lasciò andare la propria preda!
Senza certamente guardare in
bocca al caval donato, Warwear ne approfittò per
rotolare via e rialzarsi, mettendosi in posizione nel gruppo.
Ultron osservò la mano
ribelle. Il suo ghigno infuocato non tradiva alcuna emozione.
“Come è possibile? Urk!” altrettanto repentinamente,
quella mano andò a serrarsi intorno alla sua gola!
“E non hai ancora visto niente,” gridò
Fusione, stringendo uno spadone fiammeggiante di luce, caricando il robot a
testa bassa. Un solo affondo, e la lama perforò come burro il suo corpo
indistruttibile! Ultron emise un terribile grido elettronico di sorpresa e
dolore.
“E
ora fuori di qui, gente! Non credo che mi permetterà di fare il bis,” Robert lasciò la sua arma. Allo stesso tempo, Warwear
lanciò un missile contro una parete. “Sabre, Man-Eater.Voi con me!” Corse insieme a loro verso lo squarcio.
Saltarono, e subito i due eroi
afferrarono il loro comandante ognuno per un braccio. Joystick, portando con sé
Fusione, fu la seconda. Midnight Sun scomparve in un bagliore di teletrasporto.
Capitan Power schizzò via per ultimo, portando con sé Molten.
La formazione si ritrovò in
strada. “Inutile sprecare energie fuggendo alla cieca,”
disse Parnell. “Prima di tutto dobbiamo trovare una via di fuga da qui.
Fusione?”
“Ultron possiede una mente
abbastanza complessa per interagirvi e ingannarlo. Lo
so, avrei potuto tentare un affondo più deciso, ma avevo
paura che le sue difese, a quel punto, avrebbero potuto studiare una contromisura.
Ho cercato una via di uscita da qui, ma questo posto è
una sua proiezione… E io so proiettare illusioni, non leggere il pensiero.”
“Pertanto, l’unica cosa da
fare è aspettare che da fuori ci cavino d’impiccio. Magnifico…” esitò un
momento. “A meno che…”
“A meno che?” fece Sabre.
“Coraggio, capo: quella lattina di adamantio non
aspetterà certo che terminiamo la conferenza.”
In effetti, di
Ultron ancora nessuna traccia. E non solo quello: la pioggia era praticamente cessata, e la città…non era più una metropoli
asettica e sinistra. C’era il sole, nel cielo, e l’aria era fresca e sapeva di
pulito.
“Quando
cavolo è successo?” fece Man-Eater.
Warwear annuì. “L’altro
livello. Ricordate cosa è successo prima che finissimo qui?”
“Il flipper di
Arcade,” disse Joystick. “Ma certo. Perché uno come Ultron avrebbe dovuto preoccuparsi di una simile
messinscena?” La JI teneva un corso di aggiornamento sui super-esseri, e la
scheda di Ultron era una delle più ricche. “Non è nel suo stile.”
M’nai avrebbe avuto da dire la sua, se avesse potuto
parlare: il ‘camion della spazzatura’ che lo aveva preso in trappola era
decisamente nello stile di*
Mentre parlavano, come ombre dal nulla, dapprima indefinite
e poi sempre più distinte, apparvero le figure di pedoni, un fiume umano
variopinto degno della più affollata New York.
Un battito di mani attirò
l’attenzione dei Giustizieri. Si voltarono all’unisono, e lo videro lì,
inconfondibile nel suo completo bianco immacolato, dal cappelluccio ai guanti
ed alle scarpe; il bianco era spezzato dalla cravatta a farfallino rossa a pois
bianchi e dai capelli corti di un rosso vivo. Sorrideva a trentadue denti,
tutti bianchissimi.
“Arcade,”
bisbigliò Warwear.
Il criminale batté le mani
un’ultima volta. “Complimenti, complimenti, miei cari ospiti.”
Prese il bastone bianco di bambù che teneva sottobraccio e vi si appoggiò,
tenendo il cappelluccio un po’ di sbieco. “E su, smettetela pure di guardarmi
in quel modo: vi posso assicurare, come il vostro leader avrà già capito, che
la presenza di Ultron nella mia creazione non era assolutamente prevista…anche se temo che fosse
quella la causa dei problemi per i quali vi ho ‘assunto’.”
“Di cosa stai parlando, razza
di maniaco…” disse Sabre, facendo un passo verso di lui, ringhiando minacciosamente.
Arcade gli appoggiò la punta
del bastone sulla punta del naso. “Semplice, Fido; ma devi lasciarmi parlare,
prima.
“Se avete fatto i vostri
compiti a casa, cocchini, sapete che qualche tempo fa ho
‘ucciso’ la mia carissima Miss Locke. Quello che però non sapete è che si
trattava di un drone, una dei miei
tanti giocattoli. Il mio modello migliore, d’accordo, ma anche un modello a cui
mi ero veramente affezionato. L’unico modello che non avevo
prodotto in serie.
“Naturalmente, l’intelligenza
artificiale di Miss Locke non era andata perduta. Era custodita qui, nel
cyberspazio,” Arcade allargò le braccia come ad
abbracciare quell’ambiente. “Una sfortunata serie di circostanze mi ha sempre
impedito di dedicarmi a ricostruire il corpo della mia amata assistente…e
quando finalmente il tempo arriva, che cosa scopro? Ultron! In qualche modo, il
bastardo ha preso il controllo del mio
mondo virtuale con quel suo maledetto ‘Imperativo’, ed ora Miss Locke rischia
di restarvi prigioniera per sempre. Lo odio!”
“E hai pensato bene di
reclutare noi per cavarti le castagne dal fuoco,”
disse Warwear. “Lasciamo stare tutte le stronzate del tipo ‘se non ti aiutiamo
cosa ci fai?’, e pensiamo piuttosto a come tu possa esserci di
aiuto.”
Arcade fece un profondo
inchino levandosi il cappello. “Plaudo al tuo pragmatismo: è merce rara, fra
voi boy scout. Dunque: grazie a me, avrete sempre
qualche oasi di quiete come questa per tirare il fiato. Inoltre,
ho fatto in modo, come avrete già visto, che voi possiate usare i vostri poteri
qui come nella realtà, ma senza quelle seccanti complicazioni del tipo vittime
innocenti. Nonostante il vostro paragone, non siamo dentro Matrix.” A riprovarlo, affondò velocissimo il bastone in un
ragazzino su pattini che stava passando in quel momento. Il ragazzino si
dissolse in una nuvola di pixel. “Nessuno muore, tranne quelli che sono
interfacciati al Dreamscaper.”
“Quindi,
anche tu…” fece Molten.
“Già. Se
fossi abbastanza scemo da trattenermi ancora. Oh, e occhio: il
portoghese vi ha trovati.
Ciao-ciao.” Fece il gesto di saluto con la mano, e scomparve.
E in quel momento, il cielo tornò a farsi di un colore
plumbeo. In un istante, la città solare tornò ad essere un desolato panorama
deserto di cemento ed acciaio.
Fulmini danzarono nel cielo,
andando a disegnare il volto di Ultron “Credevate davvero di potermi sfuggire per sempre?!”
e il rimbombo delle sue parole fece esplodere ogni vetro di quella strada.
Joystick generò un ombrello di energia sul quale le letali schegge rimbalzarono innocue.
“Almeno ha un bel senso della coreografia,” commentò
la donna. “Che si fa, capo?”
“Dobbiamo*”
fece Warwear, ma non finì la frase. Scomparve, e con lui tutti gli altri
Giustizieri.
Warwear
Riapparve sul tetto di un
posto che gli era fin troppo familiare.
Solo che i
sui ricordi non combaciavano esattamente con quello che ora aveva sotto gli
occhi. “Ma che diavolo..?”
La sua carriera di mercenario
criminale aveva subito una svolta quando, col nome di War Machine, attaccando l’allora Baintronics,
era stato messo di fronte a sua moglie. Era stato sul punto di vincere, e di
annientare Iron Man…e quando lei lo aveva messo di fronte alle proprie
responsabilità, lui aveva esitato. Ed era fuggito, per
riflettere, per maturare quelle decisioni che lo avrebbero portato a diventare
un Giustiziere. Poco dopo, sua moglie era tornata da lui, e la sua vita personale
aveva davvero preso una piega migliore.
E ora era tutto finito. Sotto di lui, gli edifici della
Baintronics erano stati ridotti a cumuli di macerie.
I morti erano sparsi ovunque, in mezzo ai crateri ardenti generati dalle sue
armi. Uno di essi era Iron Man, dalla cui spalla
sinistra, tranciata di netto, si spargeva una pozza di sangue rappreso.
E in mezzo a quel disastro, giacevano i rottami di un
velivolo…e dal parabrezza di quel velivolo spuntava, riverso sul muso in un
angolo innaturale, il cadavere di sua moglie, Glenda!
“No…” la sua mente razionale
sapeva che si trattava di un’illusione, ma i suoi sensi dicevano il contrario.
Aveva appena avuto un’esperienza con quel trucco[i], eppure
ciò non rendeva meno illusorio lo scenario davanti a lui. Lo
scenario in cui lui vinceva; in quello scenario, che ancora tormentava i suoi
sogni, si abbandonava del tutto al proprio ‘lavoro’, bruciando i ponti con ogni
affetto, con ogni speranza di tornare alla normalità…
“E
perché dovresti desiderarlo?” chiese una voce metallica, fredda, sopra di lui.
La voce del mostro, della eso-armatura che lui aveva indossato per fare quel
terribile lavoro. Una mostruosità nera e bianca, una mostruosa
parodia della vecchia armatura War Machine, un puro marchingegno per uccidere.
“Guarda il frutto del tuo lavoro. Gioiscine! Liberati dei confini della carne,
e riunisciti a me.”
“Crepa!” fu la rabbiosa risposta, mentre una raffica di missili partiva
dai lanciarazzi sui polsi.
L’eso-armatura fu colpita in
pieno. Il fuoco delle esplosioni la avvolse completamente…e in tutta risposta,
due missili emersero ruggendo dalla sfera di fuoco. Warwear decollò appena in
tempo per evitarli. L’edificio non fu altrettanto fortunato, e si trasformò in
un’unica palla di fuoco.
L’onda d’urto scaraventò
Warwear in alto, senza controllo. Troppo
potente, non riesco a stabilizzarmi… Poi, altri due missili lo colpirono in pieno, questa volta facendolo precipitare verso terra.
War Machine, gli occhi
fiammeggianti, non aspettò neppure che arrivasse al suolo per colpirlo con
getti di plasma!
Il Giustiziere urtò con forza
sufficiente da scavare un cratere e poi rimbalzare due volte. Sopra di lui, War
Machine liberò tutta la sua potenza di fuoco, centrando infallibilmente il bersaglio,
facendo scomparire Warwear fra le fiamme.
“Eri un debole,” disse la macchina, contemplando la distruzione,
analizzando la scena alla ricerca di eventuali segnali di vita…e trovandone uno
proprio dietro di lei! Si voltò…ma solo in tempo per trovarsi una doppia lama
affilata infilata nel cranio attraversale fessure
oculari!
Il pugno di Warwear affondò
nella lega di carbonio come in un biscotto. “Ripeti con me: sorridi quando lo dici.” Quindi, liberò il suo migliore
colpo di repulsore dentro l’elmo vuoto.
La testa di War Machine e una
porzione del torace esplosero. Poi l’armatura, priva di controllo, cadde al
suolo, dove si dissolse in un’ultima esplosione.
Questa volta aveva funzionato
alla grande: una proiezione olografica solida aveva tratto in inganno
quell’illusione… In compenso, la battaglia lo aveva stancato. C’era solo da
sperare che*
E ancora
una volta, Warwear scomparve.
Sabre
“Chissà perché, me lo
aspettavo.”
Jack Russell si era ritrovato
di fronte una sua vecchia nemesi, il Pugnale
d’Argento. E, dietro di lui, la figura morta e crocifissa
di Lissa Russell, sua sorella. La poveretta
era nella sua forma di lupa, ed era stata quasi completamente scuoiata, con il
sangue che la copriva da capo a piedi.
Jack pensò che l’unica volta
che Lissa era stata trasformata, era quando quel folle di Glitternight
l’aveva sottoposta ad un incantesimo che aveva risvegliato il potere del sangue
maledetto della loro famiglia… Da allora, aveva più che mai pregato che lei non
dovesse mai soffrire i patimenti che lui aveva sofferto. Perché
sapeva che se qualcuno come il Pugnale l’avesse trovata…
“Hai paura
per la tua anima immortale, animale?” fece il Pugnale d’Argento, accarezzandosi
il palmo della mano con la lama della arma preferita, quella che gli dava il
nome. “Fai bene. Oggi, tu morirai!”
Sapere che era un illusione non aiutava: Sabre percepiva fin troppo bene
l’odore ferrigno del sangue, vedeva bene ogni particolare della sofferenza di
quel…fantasma. Quella visione era un incubo realizzato, e fece molta fatica a
controllarsi, là dove un tempo sarebbe saltato addosso ruggendo addosso a quel
pazzo.
Invece, adottando una posa da
combattimento delle arti marziali, mostrando un sorriso lupino, Sabre tese il
braccio sinistro all’indirizzo del suo nemico…e gli fece il ‘fatti
sotto’ con le quattro dita!
L’uomo coprì
la distanza fra loro con un solo salto, durante il quale, il suo volto divenne
una spaventosa maschera demoniaca. Jack si gettò con la schiena a terra, e usò
i piedi per spingerlo via usando la sua stessa inerzia.
Il Pugnale, però, tese le
braccia in avanti, e trasformò una caduta altrimenti rovinosa in una perfetta
capriola, e in un attimo fu di nuovo in piedi. Senza perdere un istante, lanciò
due pugnali contro il mannaro.
Sabre
li afferrò al volo per i manici, e li scaraventò a terra, dove si piantarono
come chiodi. “Starai anche imparando a leggere la mente, Ultron, ma la tua
tattica non funzionerà con me. Ho imparato da tempo a convivere con le mie paure, e dare loro
forma non mi trasformerà in una gelatina*” poi, l’uomo-lupo scomparve.
Midnight Sun
Se avesse potuto essere al
fianco di Sabre in quel momento, M’nai non avrebbe
potuto essere più d’accordo a proposito delle paure personali.
Eppure, dentro la sua anima una paura in particolare non
aveva mai cessato di tormentarlo. Era riuscito sempre a tenerla chiusa in un
angolo remoto, ed ora era tornata. E lui era impotente.
La paura della morte…ma non
quella di morire. No, a quella eventualità era
preparato fin da quando non era che un allievo del malefico Fu Manchu.
Non era mai stato preparato ad
affrontare il niente. Le sue
convinzioni vertevano sull’esistenza di un qualche aldilà, ed era sempre stato
pronto ad accettare un ‘paradiso’ o un ‘inferno’ diversi
da quelli in cui lui credeva… Ma il nulla, quel breve ed eterno istante in cui
il suo essere non ebbe alcun punto di riferimento se non sé stesso…no, non
c’era modo di descrivere la mostruosa disperazione di urlare senza sentire la
propria voce, di respirare e di sentirsi soffocare ad ogni respiro, mentre
implorava con tutto sé stesso anche i più orrendi demoni perché facessero
finire quel tormento.
Midnight Sun portò le mani
all’altezza del volto, contraendole a pugno. Nel buio totale e muto, non le poteva
vedere, ma le poteva sentire. E sarebbe stato così facile
infilarsi quei pugni nel corpo, fare quello che non aveva avuto il coraggio di
tentare la prima volta…
Lentamente, uno dei pugni si
aprì. M’nai lo portò al cappello e se lo tolse. Lo
gettò via, poi la stessa mano andò alla maschera, e tolse anche quella.
Si toccò il volto, un volto
deformato dalle cicatrici dei tanti innesti che ora potenziavano il suo corpo.
Anche allora, quando aveva realizzato che la sola ragione per cui un popolo extraterrestre
gli aveva ridato la vita per farlo diventare una macchina di morte, sfruttandolo
contro la sua volontà come lo stesso Fu Manchu aveva
fatto, M’nai aveva lamentato il proprio dolore alle stelle.
Poi era stato adottato fra gli
Inumani, e insieme a
loro aveva imparato a ridare una direzione ed un senso al proprio stato, alla
propria vita. Lui stesso si era negato la possibilità di una nuova voce per
espiare la propria facile autocommiserazione.
Aveva giurato a sé stesso che,
avendone l’occasione, avrebbe fatto di più che vivere in quel ritiro dorato.
Per questo si era unito alla Justice Inc, e per combattere il crimine e per
aiutare la sua gente con i propri proventi. Era un inizio, e non lo avrebbe tradito abbandonandosi ora.
“Non mi arrenderò,” disse, con una voce metallica e fredda, eppure carica di
determinazione.
E
scomparve.
Molten
Una cosa lo accomunava
a Warwear: la paura di fare del male ai suoi cari, che nel suo mondo si
traducevano in Liz Allen, la sua
sorellastra, ed il piccolo Norman Osborn Jr, il suo nipotino.
Proprio
quelle due persone che ora
giacevano in mezzo ai detriti ardenti di quella che un tempo era la loro casa,
le loro carni ustionate al punto da renderli quasi irriconoscibili.
A quel punto, Mark avrebbe
preferito che uno dei due spalancasse gli occhi, per fissarlo con rabbia e
lanciargli le più terribili accuse… Ma i cadaveri non si mossero.
Ancora una volta, lui aveva perso il controllo sulla lega metallica della sua
pelle, ed essa era esplosa.
La terribile ironia era che,
finalmente, in quell’ultimo scoppio, la sua seconda pelle si era volatilizzata.
Lui era di nuovo pienamente umano…ora che era troppo tardi.
“Liz, Normie…vi prego.
Perdonatemi. Io…” che buffo: si accorgeva solo ora di non avere mai pianto
nella sua forma metallica. E ora le lacrime sgorgarono
copiose, mentre abbracciava il cadaverino annerito. “Vi ho delusi.
Vi ho…vi ho…”
“Li hai uccisi,
Mark bello,” disse una voce dietro di lui. Una voce che lui conosceva
bene!
Mark si voltò, ed incontrò lo
sguardo implacabile della maschera dell’Uomo
Ragno. “Io…” balbettò.
Il Ragno gli fece ‘no-no’ con
l’indice. “Ah ah, niente scuse: sapevi cosa sarebbe successo se li avessi
rivisti. Lo sapevi, e sei andato lo stesso da loro. Guardati intorno.” Mosse un braccio a coprire la devastazione. “Questa volta,
devi solo ringraziare te stesso.” Iniziò a camminare
verso di lui. “E lo sai cosa succede ai bambini
cattivi, vero?”
“Io…” Mark aveva
il cervello in pappa, i pensieri erano incoerenti. Riusciva solo a
fissare gli occhi del Ragno, occhi sempre più cattivi, infuocati…no, vere e proprie
fiamme fredde…
La maschera si spalancò in una
bocca spaventosa irta di zanne. Le braccia della creatura scattarono in avanti
velocissime, serrandosi intorno alla gola di Mark. “Consolati, carogna: presto
li raggiungerai! Sai, non ho mai sopportato quelli come te, sempre pronti a
rivoltarsi contro la società, sempre pronti a dare problemi solo per quattro
soldi in più o per non pagare le tasse!” la stretta si stava
facendo sempre più forte. La visione dell’uomo era costellata di macchie nere.
“Sai una cosa? ho deciso di rendermi le cose facili.
Eliminerò i cacasotto come te, per poi occuparmi dei pesci veramente grossi…”
E fu a quel punto, che le mani
che Mark stava istintivamente serrando ai polsi del
mostro furono coperte da uno strato di dorato metallo liquido!
“Cosa..?”
sibilò la cosa-ragno.
Il corpo di Mark Raxton era
ora di nuovo coperto dalla lega biometallica! E Molten
stava sorridendo! “Cacasotto, hai detto?” La presa delle sue mani si intensificò, e questa volta
furono i polsi del suo nemico, a scricchiolare. “Amico, hai appena detto una
bella fesseria!” Un ultimo sforzo, e le ossa si ruppero. La cosa-ragno urlò e
lasciò la presa.
Molten però non lo mollò.
“Sai, qualche tempo fa avresti anche avuto ragione. Ma da quei giorni, ho lasciato la strada del crimine per
dirigere le Osborn, sono diventato un Giustiziere e sai perché? Per fare ammenda dei miei errori, bastardo!”
Così dicendo, tirò a sé la cosa-ragno e
le mollò un pugno corazzato sufficiente a spezzargli il collo.
La
creatura ricadde a terra, morta, ma a quel punto Molten era
già scomparso.
Joystick
Si muoveva in un mondo di
morte.
Lei aveva avuto la fortuna di
non essere nata in Slorenia. I suoi genitori volevano una vita migliore almeno
per la loro figlia, ed avevano abbandonato la piccola nazione europea per farla
nascere in un paese dove nulla le sarebbe mancato.
Certo, loro avevano sperato
che la piccola Janice crescesse secondo certi valori, per diventare una onesta casalinga timorata di Dio. Per fortuna, erano morti prima di poterla vedere diventare una pura
‘donna in carriera’, timorata solo dei profitti, per la quale gli uomini erano
solo un temporaneo passatempo. Una donna che, in nome del guadagno, era arrivata
a indossare un esoscheletro sperimentale ed assumere
il nome di battaglia di Joystick, ed iniziare una carriera di mercenaria…
La Justice Inc. era solo
l’ultima di una serie di padroni per i quali lavorava molto volentieri, e non
solo perché la Cleaver l’aveva tirata fuori dalla
Volta, ma anche perché la paga era davvero eccezionale! Con un intero
supergruppo a spalleggiarla, Joystick sentiva di guadagnare anche troppo per il
suo lavoro…
In tutto quel tempo, la prima
volta in cui aveva sentito qualcosa per la patria dei suoi genitori
era stato quando Ultron l’aveva distrutta, cancellandone ogni forma di vita.
Aveva provato un po’ di dispiacere, il resto giusto una mano di vernice a
beneficio di chi le faceva le condoglianze.
Non aveva mai capito. Non era
mai stata in quello scenario subito dopo che la morte era stata dispensata. Non
aveva mai annusato il puzzo di centinaia di migliaia di
cadaveri ammassati ovunque, un osceno tappeto di morte sul quale grassi insetti
pasteggiavano senza sosta. L’odore del fuoco, del fumo delle
macerie e del grasso si aggiungeva come una coltre sui sensi, mentre la mente
era devastata dalla vista...
Quando il massacro avvenne, Janice era da poco diventata
Joystick, e si beava di quel potere, mentre ogni altro suo parente, persone che
non avrebbe mai conosciuto, moriva urlando, chi pregando e chi maledicendo il
proprio fato.
Lei non aveva
colpe, non avrebbe potuto fare la differenza trovandosi in quel posto,
in quei momenti. E lo stesso si sentì colpevole come
se a premere il grilletto fosse stata lei. E come se quella distruzione, tutte
quelle morti, non fossero bastati, lei aveva
partecipato a una serie di distruzioni inflitte dai Signori del Male, come loro complice. C’erano stati dei morti a
causa del dispositivo meteorologico -davvero una bella eredità,
per una figlia di sloreni…
Joystick cadde in ginocchio
sul corpo di una donna, che sobbalzò.
“Sai come espiare,
vero?” chiese una voce dietro di lei.
Lei non si voltò. Sapeva che
erano i suoi genitori, che erano delusi da lei, che non l’avrebbero
mai perdonata per avere deriso le loro origini e la sua gente… E sapeva che il
loro astio era meritato. Debolmente, Joystick annuì, il volto rigato di
lacrime.
Una
mano di carne morta, putrescente, si avvicinò al collo della donna…
Man-Eater
L’incubo di Malcolm Murphy,
sempre ammesso che quello fosse il suo vero nome, era molto più elementare -e
neanche tanto terribile, almeno per il suo lato più ferino.
L’uomo-tigre, regredito allo
stato animale, stava pasteggiando in una radura, la pelliccia piacevolmente
accarezzata dall’aria satura di umidità e rinfrescata
dall’ombra. La carne era buona, e la tigre ne era
quasi satolla. Nessun orologio tranne il proprio corpo
dettava i suoi ritmi. Nessuna ansietà nei suoi pensieri. Il tempo degli
accoppiamenti sarebbe venuto e andato come sempre, e si sarebbe preoccupato
solo allora di muoversi in fretta, per spargere la propria discendenza.
Sì, tutto andava bene. La
tigre si era persino divertita nel giocare con la sua preda; un raro lusso, ma
gli esseri umani valevano la pena, così belli saporiti, anche se di carne ne avevano poca -meglio, così gli scarsi resti avrebbero
attirato meno spazzini…
La
tigre continuò a mangiare quanto ormai restava di un uomo di nome Malcolm
Murphy…
“Scomparsi, più scomparsi che
non si può… Ma come hanno fatto?” Arcade non ci si raccapezzava. “Non doveva succedere…”
Batté il bastone su una consolle in un gesto di frustrazione. “’Eroi’! Bah, gli
X-Men avrebbero risolto questo problema in un istante, maledizione! Lo sapevo
che dovevo lasciare fare la cosa a dei professionisti, non a questi… a questi dilettanti.”
E il guaio era che aveva tirato fin troppo la corda:
era stato molto attento a mantenere il Dreamscaper separato dal resto del
sistema. Ultron non avrebbe potuto approfittare di quel dispositivo per
infettare le sue adorate macchine…ma Arcade non era comunque
disposto a correre altri rischi.
“Tutto
da rifare. Ma non è finita qui, Miss Locke: in un modo o nell’altro, ti
ritroverò.” E spense
l’apparecchio.
“Signore!”
Garolfo sollevò di scatto la
testa. “Cosa succede, dottore?” Poi guardò verso la
camera d’isolamento… “Be’, che io sia…”
Uno dopo l’altro, i
Giustizieri si stavano alzando, perfettamente svegli ed in buona salute, almeno
a giudicare dai sensori.
Garolfo accese il microfono
accanto al computer. “Signori, state…uh, bene?”
“Riusciamo ancora a respirare
e parlare, se è quello che vuoi dire,” disse Molten.
“Cristo, che razza di trip. Ma che diavolo è successo?”
“È successo che lo abbiamo
fregato alla grande,” disse Fusione, togliendosi
l’elmo, rivelando il volto grondante sudore nonostante i dispositivi di
raffreddamento. “Quando Ultron è entrato nei miei
pensieri, non ha pensato che io avrei potuto fare altrettanto. E dire che l’avevo già fregato in quel modo…”
“E..?”
fece Sabre.
Robert si massaggiò le tempie
con una mano. “L’ho lasciato libero di credere che ce l’aveva
fatta, che eravamo nelle sue mani, mentre in realtà impostavo una serie di
comandi che ci avrebbero ‘nascosto’ sia a lui che ad Arcade. In realtà, l’intenzione era solo quella di nascondersi ad Arcade
abbastanza a lungo perché lui credesse che Ultron ci avesse fregati…”
“Così, ha spento l’apparecchio,” concluse Capitan Power. “Game over.”
I meno felici di quello sviluppo sembravano Man-Eater e Joystick. Entrambi
avevano un’espressione decisamente affranta, e
tenevano la testa bassa…ma era Janice ad attirare l’attenzione in modo
particolare, soprattutto a causa dei suoi capelli bianchi.
“Janice..?” fece Robert alzandosi. “Cosa
ti è successo?” non c’era dubbio: la donna aveva una chioma bianchissima dove
fino a poche ore prima era stata color biondo grano. Le posò una mano sulla
spalla, ma lei, senza neppure voltarsi, si limitò ad alzarsi e ad uscire dalla
stanza. “Janice.” Ma tanto valeva cercare di attirare
l’attenzione di un fantasma…
Nelle profondità del
cyberspazio, l’intelligenza frattale di Ultron
gongolava.
Per quanto grande fosse il suo odio verso l’umanità, altrettanto potente era
il suo impulso ad imparare, a migliorarsi. L’interazione diretta con la mente
umana, a quel livello, in quelle condizioni, era una cosa nuova, per lui. Da
quella breve esperienza aveva tuttavia appreso le basi per continuare.
La prossima volta, sarebbe
stato più attento, più accurato. Avrebbe scelto i suoi bersagli con più attenzione,
e dal suo sconfinato regno di impulsi elettrici
avrebbe gettato le basi per la vittoria finale…